PROTEGGETE LE PERSONE, NON I CONFINI. Sibomana
PROTECT PEOPLE NOT BORDERS. Sibomana
Le foto che vedete sotto sono le pareti del museo Explora il Museo dei bambini di Roma. Ci sono passata davanti quando raggiungevo gli studi di Radio Radio proprio per un’intervista che riguardava il mio blog di arte contemporanea.
Sono stata abbagliata dai colori frizzanti della mostra permanente d Sibomana, che ritrae volti di bambini. Si chiama, appunto, “Children of the Sea“. Ho approfondito la storia di questo ragazzo italo belga, (Sibomana è il nome d’arte) e mi sono rispecchiata profondamente nei suoi messaggi. Sul suo sito leggiamo ciò.
“Refugees play a key role, having opposed a proactive vision of the future to the tragic experience of fleeing their home. A refugee is a person who gets into touch with a new world and brings her/his experience, helping improvement, on both human and cultural aspects, towards a universal language. Over the past few decades, migration – both international and internal – has increased dramatically and millions of children have migrated across borders or been forcibly displaced.
The solo exhibition Children of the sea by Sibomana focuses on the faces of ten children who are accommodated in a centre for asylum seekers on the outskirts of Rome. This is a tribute to all refugee children, the message is clear: educating people to integration, reminding that all children have a right to be happy”.
Niente accade per caso: secondo me ho incontrato il lavoro di Sibomana nel momento giusto.
Bhe, niente accade per caso. Il giorno prima tornavo da un’esperienza bellissima. Sono stata educatrice presso un campo per le scuole medie, di una settimana, organizzato dalla mia parrocchia. Ci sono andata sicuramente per spirito di servizio, ma principalmente per seguire mio figlio da vicino, con medicine e controllo affaticamento annesso (chi conosce la mia storia, sa che Alberto, mio figlio, ha un’importante aritmia cardiaca. Ora è sotto farmaci che lo tutelano e può vivere una vita normale, campeggio compreso).
Il tema che i ragazzi dell’organizzazione hanno intavolato come catechesi durante questa settimana a Campamoli, Arezzo, era legato al libro della Bibbia che racconta la storia di Rut, madre del nonno di Davide. Si tratta quindi di una donna che compare nell’albero genealogico di Gesù. Si è introdotto il tema del viaggio, della migrazione, della tolleranza, dell’accogliere e dell’essere accolto.
Un tema profondo e toccante, che i ragazzi hanno vissuto con uno spirito e apertura mentale che mi hanno commosso. Tuttavia ho provato un senso di frustrazione. Come possiamo dare un risvolto pratico,. reale a tutto ciò di cui abbiamo parlato? Cosa possiamo fare, per diffondere realmente semi di luce, cosa possiamo fare affinché si possa lavorare sul “vedere” l’altro e non solo le differenze che ci separano, ma le caratteristiche che ci uniscono?
Io ho il mio blog. La mia passione. Il mio amore per l’arte che mi travolge, che mi sazia di spirito e di bellezza. È il mio mezzo per parlare al mio pubblico, a chi mi legge, a chi condivide una visione bella e pura del mondo espressivo odierno.
La voglia di parlare di Sibomana: la sua intervista
Per questo ho subito contattato. travolta da un’onda di entusiasmo che ancora non mi lascia, Sibomana. E subito gli ho mandato deomande per fargli una piccola intervista su “Children of the sea” la mostra permanente presso Explora. Spero che anime come quelle di Antoine (Sibomana) possano contagiarne tantissime diffondendo luce e buon senso.
La riporto di seguito:
– SIBOMANA è il tuo vero nome? Come sei arrivato a sceglierlo?
Era il nome di uno dei miei migliori amici, eravamo come fratelli, è morto 6 anni fa. Egli era belga ruandese e Sibomana è il nome che sua madre biologica gli aveva dato. Quando è morto ho deciso di portare il suo nome per la mia arte. L’ho scelto perché era un modo di averlo sempre con me e perché il suo nome e la sua persona rispecchiano tanto la mia arte e le tematiche di cui parlo attraverso i miei disegni. Sono italo belga e sono cresciuto tra il Congo, il Ruanda, il Belgio e l’Italia. E come lui, la mia storia è fatta di tante culture diverse che si ritrovano nel suo nome, nel mio nome, Sibomana.
– Come è nato il progetto al Museo Explora ?
Sono stato contattato dal Museo Explora nel gennaio 2017 per prendere parte a un progetto per promuovere l’integrazione dei rifugiati attraverso le arte visive (Journeys Festival International). Da lì nasce la mia mostra personale “Children of the sea” / “I bambini del mare”, esposta nell’area esterna del museo, che ha come protagonisti i volti di 10 bambini ospitati in un centro di accoglienza della periferia di Roma.
Le ragazze e i ragazzi hanno tutti tra i 6 e i 12 anni e vengono da tanti orizzonti diversi, dal Cameroun all’Afganistan, dalla Nigeria alla Libia, dall’Iraq alla Guinea. Ho passato vari pomeriggi insieme a loro, ci siamo conosciuti, abbiamo giocato e disegnato insieme, e un giorno ho portato la macchina fotografica e ho scattato foto ai loro volti. Passando del tempo insieme a loro ho capito di voler fare qualcosa di più leggero, qualcosa di bello e non triste, perché loro sono felici qui, nonostante tutto quello che hanno vissuto in passato prima di arrivare in Italia.
La mostra, ora permanente al Museo Explora, conta una decina di tele grandi formati con la mia tecnica che unisce fotografia in bianco e nero e pittura a colori vivaci. Attraverso le mie opere ho cercato di raccontare la loro storia, sensibilizzando al tema della migrazione e anche a quello dei minori non accompagnati.
– Esprimi un desiderio: cosa vorresti che contribuisse a realizzare la tua arte?
Provo sempre a raccontare storie di persone, persone che incontro durante i miei viaggi o nella mia vita di tutti giorni, storie che a volte sono molte tristi da sentire e difficili da raccontare. Il mio desiderio forse va oltre alla mia arte, non pretendo di cambiare il mondo, spero solo di riuscire a far passare il mio messaggio. Attraverso i miei lavori, provo sempre a sensibilizzare le persone su tematiche che mi stanno a cuore, catturare l’attenzione trasmettendo delle emozioni. Se ci riesco, anche con una sola persona, sono felice.