È passato qualche giorno dalla presentazione in anteprima per l’Italia, ad Artefiera Bologna, del film di Stanley Tucci “Final portrait – L’arte di essere amici” di Stanley Tucci.
Tardo un po’ a scriverne viste le collaborazioni con mostre, musei e case editrici che mi vedono coinvolta in questi giorni. Eppure non vedevo l’ora di raccontarvi la mia esperienza vissuta durante la presentazione del film, presso la sala Bolero ad Artefiera, il 4 febbraio.
Final portrait è un film nell’arte, su una parentesi di vita di un artista, creato da un figlio di un artista
Mi è piaciuta tanto l’introduzione di Alessandra Mammì (Storica dell’arte e giornalista de L’Espresso), che afferma, in apertura della presentazione del film:
“I film sull’arte mi terrorizzano. Ma questo è un film nell’arte. Tutta un’altra storia. È un film sulla comunità dell’arte, sul rapporto di potere e complicità tra artista e soggetto ritratto. Questa sottile vena di imbarazzo viene raccontata al meglio nel film di Tucci”.
Alessandra Mammì
Il film è tratto, infatti da righe autobiografiche di di James Lord (“A Giacometti portrait”, 1965). Tucci ci rivela che ci sono voluti ben dodici anni affinchè James Lord, morto nel 2009, e contattato esclusivamente tramite posta cartacea (non aveva mail e non usava internet), decidesse di accettare la realizzazione del film.
Nel settembre 1964, James Lord, scrittore americano, appassionato d’arte e di artisti e amico di Alberto Giacometti, è di passaggio a Parigi. Giacometti gli propone di posare per lui un paio d’ore. Le sedute continuano per diciotto pomeriggi. Durante le pose, Giacometti parla, va, viene, si angoscia, si dispera. La sera, tornando a casa, Lord annota la conversazione. Durante ogni posa il ritratto prende forma per riperderla l’indomani: ogni giorno un ritratto va perduto sotto il pennello. Lord decide di fotografarlo prima di ogni seduta. Il libro contiene così diciotto conversazioni e diciotto ritratti, fermati dalla fotografia, ma spariti dalla tela, così come le parole di Giacometti sarebbero sparite se Lord non le avesse fermate.
Sono sicura che il fatto che Stanley Tucci sia figlio di un’artista ha contribuito a fargli narrare in maniera ineccepibile il processo creativo di un’opera d’arte. La metamorfosi della materia da soggetto a oggetto artistico, viene sublimata da Tucci in passaggi narrativi lodevoli e di grande levatura.
Il libro in fatti da cui è tratto è composto di sessioni di lavoro immortalate dalle parole di James Lord, che ogni giorno fotografa il ritratto di Giacometti e ne racconta i passaggi.
Il processo creativo di un’artista, mano nella mano con lo stesso di timbro cinematografico
Tucci si sofferma molto sulla voglia di perfezione e di profondità nel narrare il processo creativo dedicato ad un’opera d’arte. Io mi sono deliziata a ricercare lo stesso processo nella narrazione cinematografica che ne è scaturita. “A Giacometti portrait” è un libro in cui non compare alcun elemento di storytelling, mentre Tucci riesce a trovare la quadra narrativa per incastonare ogni ritratto delle diciotto sedute in un meccanismo unico e piacevole.
Una ricerca creativa nel ritratto, dentro la stessa ricerca creativa nella pellicola. Grazie anche ad un Giacometti (Geoffrey Rush) incredibile, testimone e rappresentante autorevole di quell’ arrovellarsi logorante che toglie tanto all’artista, donandosi però al pubblico che contempla le opere.
Una sfaccettatura poco “evidenziata” di Final portrait di Stanley Tucci: il grande contributo della colonna sonora di Evan Lurie
Eh, sì. L’hanno nominata in pochi, ma ho trovato la colonna sonora di questo film semplicemente fantastica.
Il rintocco degli strumenti disegnavano perfettamente i voli pindarici dei pensieri creativi, che trovavano vita e realizzazione nelle pennellate dell’artista, con relativa sofferenza. Gli sguardi di Giacometti verso Lord e il contrario, sono diventati deliziose e azzeccatissime note musicali.
Se dovessi esprimere un parere sintetico su questo film, altro non direi che il processo artistico, tanto caro a Tucci, è brillantemente e magistralmente espresso dalla musica di Evan Lurie. La musica in questo film è cardine assoluto degli intenti narrativi del regista.
Evan Lurie vanta collaborazioni continuative con il nostro Roberto Benigni. Sua è la colonna sonora de “Il piccolo diavolo” (1988), “Jonny stecchino” (1991) e “Il mostro” (1994).
Quando vedrete il film, lasciatevi cullare dalle note sonore. Un plus incredibile di questa pellicola, senza dubbi.
Film: Final portrait
Quando: In questi giorni sugli schermi
Regista: Stanley Tucci
Cast: Geoffrey Rush, Armie Hammer, Clémence Poés
Dura: 90 minuti
Prodotto da: Olive Productions, Potboiler Productions, Riverstone Pictures
Fotografia: Danny Cohen
Colonna sonora: Evan Lurie
Distribuito in Italia da: BIM Distribuzione