Moma contro Trump. Che significa? Facciamoci delle domande.
L’arte “libera” eleva lo spirito? Sì. L’arte è quella parte di umanità che evolve verso ideali come la tolleranza? Sì. Ecco infatti la risposta del Museum of Modern Art di New York al bando anti musulmani promosso da Trump.
Moma contro Trump: che paese rappresenta il nuovo presidente?
Non capisco cosa stia succedendo oltre oceano. Se da una parte abbiamo l’americano medio cresciuto in ambienti sconfinati, rurali, poco incline al cambiamento e con la paura del diverso (secondo me, tipico identikit di colui che ha votato il candidato dai capelli platino), dall’altra abbiamo il popolo collegato ai grandi big del mondo digitale, colti, cosmopoliti, ideologicamente aperti. Ecco questi ultimi sono coloro che secondo me vivono in questo momento il paradosso più disorientante e logorante.
Sì, perchè non possono identificarsi con la politica chiusa e reazionaria di Trump. Il decreto anti immigrazione, che prevede il divieto di accesso negli Stati Uniti di persone proveniente da sette paesi arabi, è stato subito contestato da un centinaio di compagnie importanti per il mondo economico a stelle e strisce. Apple, Microsoft, Facebook, Google hanno firmato il ricorso a una corte d’appello della California contro il decreto del presidente. Contro il bando anche stati come New York e la California.
L’America più colta e innovatrice, quella che ha inventato Facebook per connettere il mondo intero con se stesso, è quella che blocca l’accesso a sette paesi inasprendo i rapporti con essi. Agevolando antipatie, rancori, equilibri già instabili.
Secondo il documento redatto dai giganti del digitale, a favore del provvedimento del giudice federale dello stato di Washington che ha subito bloccato il decreto presidenziale, si afferma che esso…
…”rappresenta un allontanamento significativo dai principi di equità e prevedibilità che hanno governato il sistema di immigrazione degli Stati Uniti per più di cinquant’anni. L’ordine esecutivo controverso causa anche un danno significativo sul business americano, l’innovazione e lo sviluppo”.
Le compagnie che si sono schierate contro il decreto: nominiamole!
Tutte, le voglio citare tutte le compagnie menzionate che si sono schierate contro Trump, a conferma che il “Rinascimento di Internet”, per come lo definisco io, concede un occhio illuminato e consapevole agli spaccati temporali di questo tempo, che, lo affermo con decisione, spesso ci sorprende, non sempre in positivo. Esse sono elencate in un articolo di Repubblica:
Apple, Microsoft, Intel, Netgear, Dropbox, Google e Mozilla, nella lista figurano social che insieme raccolgono miliardi di utenti: Facebook, Twitter, Linkedin, Foursquare, Reddit, Pinterest, Snap e Meetup. Le piattaforme di crowfounding Kickstarter e Indiegogo. Lo sterminato mercato online ebay e il suo sistema di pagamento Paypal.
E poi ancora: il portale per cercare alloggi in tutto il mondo Airbnb, l’aggregatore di notizie Flipboard, l’azienda di fotocamere indossabili Gopro, la società di servizi finanziari Square, la Wikimedia Foundation che ha tra i suoi prodotti di punta l’enciclopedia Wikipedia, il servizio musicale in streaming Spotify e quello in video Netflix, la società specializzata in videogiochi Zynga, fino al più antico marchio di jeans del mondo: quelli creati nel 1853 dall’imprenditore e immigrato tedesco Levi Strauss.
Che non è l’unico “straniero” illustre che figura nella lista delle aziende firmatarie. Basti ricordare, solo per fare un esempio, che il padre di Steve Jobs (Apple) era siriano e Sergey Brin (Google) è russo. Ma a parte i nomi di punta, tutta la storia della Silicon Valley (e non solo) è costellata dall’apporto, piccolo o grande, di immigrati provenienti da tutto il mondo.
Il Moma affianca ad artisti eterni, da un giorno all’altro, opere dei paesi “bannati”
Dissacrante, voluttuoso e semplicemente intelligente: la cultura sociale post trumpiana, quella che ho definito più colta e aperta, quella dell’arte e della bellezza, non ci sta.
Da un giorno all’altro, un giovedì sera, il comitato scientifico del Museum Of Modern Art decide di impostare una linea di protesta ingegnosa ed efficace.
Tutto il mondo sta parlando della nuova sistemazione delle opere d’arte del famoso museo: accanto ai vari Matisse, Boccioni, Picasso ci troviamo ora opere dei maggiori artisti originari di Iraq, Syria, Iran, Libya, Somalia, Sudan e Yemen (Arabia Saudita no? Perchè? Che la discriminazione sia più legata alla ricchezza e agli interessi economici che a motivi religiosi?).
Picasso, Picabia e Matisse, al quinto piano del museo, sono stati sostituiti da un architetto iracheno Zaha Hadid, da un pittore del Sudan, Ibrahim el-Salahi e un video dell’artista iraniana Tala Madani.
Vi rendete conto che potenza? Vi rendete conto che sottile, democratica e roboante presa di posizione?
Christophe Cherix, responsabile del museo, afferma che:
“Alcuni artisti della nostra collezione improvvisamente non potevano rimanere nel loro solito stato, e condividere come sempre il loro lavoro e le idee. Abbiamo voluto riaffermare la convinzione che l’arte [e i musei] dovrebbero essere un luogo dove le persone provenienti da tutto il mondo possono esporre la propria arte e essere liberi di esprimersi!”.
Forza, libertà, consapevolezza, tolleranza. L’arte è la parte nobile dell’umanità, e lo dimostra con queste iniziative.
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